Vorrei raccogliere l’eredità di Neruda
e i petali di ciliegio fioriti a primavera,
vorrei mischiar le carte alla natura
contenderle miseria e onnipotenza.
Sei tu, anima ed essenza, il desiderio
la guida il conto l’asperità il tormento.
Io invece raschio a goccia l’esistenza,
la luce malata che non sento,
il sortilegio amaro che mi spegne
il Dio misericordioso che non chiedo.
E cade un’altra sera senza quiete,
il profumo acre di muschio nel bosco
mi pervade di un’attesa serena,
così allontano il rimorso e la pena.
Non ha più giorno l’arco della vita
che sottende il mio fragile percorso,
la potente ferita che mi strappa
e riporta al mattino primordiale.
Sei sempre tu, saggezza che mi salva,
il canone morale inderogabile.
Mi abbandono al vagito delle stelle
al sorriso dell’alba che mi attende,
attorno un silenzio di aghi di pino
e il crepitare di foglie nel vento.
Suona a violino la mia anima nuda
dinanzi alla divina bellezza del cielo.