Wanda ricordava esattamente il giorno in cui aveva capito che Hector non la amava più.
Era un caldo pomeriggio di agosto, e lo stavano trascorrendo nell’appartamento di città dove Hector era dovuto tornare per sbrigare alcuni suoi affari urgenti con la banca e lei, come da trent’anni a questa parte, lo aveva seguito. Si era chiusa alle spalle la porta della casa al lago un po’ a malincuore e aveva inspirato a pieni polmoni l’odore dei pini lungo il sentiero che portava all’auto.
“Stai bene, Wanda?”
“Sì, Hector. Respiravo l’odore dei pini.”
“Forse non è il caso che tu venga in città con me, potresti rimanere qui.”
Ma no, non poteva. Wanda aveva paura a rimanere da sola nella casa al lago.
E poi in tutti quegli anni, non aveva quasi mai dormito separata da Hector. Sì, qualche volta, quando i bambini erano piccoli, e lui era in viaggio, era potuto capitare, ma a quei tempi la madre di Hector viveva con loro e lei andava a cercare rifugio nel letto della suocera.
Non era mai stata veramente sola. E ormai erano così tanti anni che lei e Hector vivevano assieme, che l’idea di passare anche solo una notte senza di lui le infondeva una fastidiosa sensazione di panico, le faceva mancare l’aria.
Soli, nella casa di città, con il condizionatore rotto, avevano pranzato rapidamente.
Hector era stato alla banca tutta la mattina e lei era rimasta in casa a preparare un’insalata fredda e le bibite ghiacciate, gingillandosi in cucina e bevendo di tanto in tanto dal frigo qualche sorso del frozen daiquiri che aveva preparato per suo marito.
Dopo pranzo si era seduta, in sottoveste per il gran caldo, sulla poltrona della sala a leggere un romanzo che aveva preso alla biblioteca pubblica, prima di partire per il lago. Peyton Place si intitolava, pare che fosse un libro molto scandaloso.
Hector si era acceso una sigaretta, l’unica concessione al caldo era stata togliersi la giacca e la cravatta. Con lo sguardo perso fumava alla finestra, come se osservasse senza vederlo un punto imprecisato al di là dei palazzi di Rupert Street.
Wanda di tanto in tanto alzava gli occhi dal libro, lo osservava di sottecchi.
E fu allora che se ne accorse. Il suo panciotto, la catena dell’orologio, tutto era sbagliato, diverso dalla mattina, quando si era vestito di fronte a lei. I bottoni non erano abbottonati correttamente, un’asola spaiata in fondo, un bottone solitario in cima. La catenella dell’orologio penzolava dal taschino destro, invece che da sinistro. Perché si era tolto il panciotto, non avrebbe saputo dirlo. In banca non avrebbe mai tolto neppure la giacca e la cravatta, figurarsi il panciotto.
Di sicuro c’era una spiegazione rassicurante, ma Wanda avvertì solo quella fitta, quel panico e insieme all’angoscia, venne la certezza assoluta che Hector l’avesse appena tradita.
E seppe anche che non era la prima volta. Che la tradiva da tempo.
Non c’era possibilità di errore. Ogni tessera tornava al suo posto, silenziosamente si incastrava alle altre.
E lo sguardo perso di Hector era la conferma finale. In fondo a quell’orizzonte che lui scrutava con distacco, c’era un’altra donna, in un’altra stanza, che si spogliava per lui. Era a lei che lui ora stava pensando. Era come se la vedesse ancora, oltre la finestra.
La paura impedì a Wanda di alzare gli occhi al libro. Se avesse nascosto quello che aveva intravisto, quello che aveva scoperto, forse nulla sarebbe cambiato.
Si impose di continuare a leggere, con le mani tremanti. Hector non si era accorto del suo turbamento, e questo la rassicurò.
“Quando torniamo al lago, caro?” chiese a bassa voce, senza staccare gli occhi dal libro.
“Domani” disse Hector.
Estate in città
di Cristina Biglia (Genova)