Si imponeva di non cedere alla curiosità, che lo stava strattonando, di guardare l’ora: non voleva aprire gli occhi, risvegliandosi così completamente. Meglio rimanere nello stato di coscienza vigile, ma assopito nei sensi, negli arti, nel corpo tutto abbandonato gravemente al letto. Pensava che il sonno sarebbe tornato, se lui fosse rimasto quieto, perché doveva riaddormentarsi, recuperare le forze per…
E qui accadde l’inevitabile. Aveva evocato proprio l’avversario a cui non voleva soccombere: la cascata – no, piuttosto la frana – delle sue preoccupazioni. Un’oscura valanga di sassolini e pietre incombenti su di lui, che si ingigantivano nel loro moto accelerato. Lo avrebbero sepolto, se lui non si fosse buttato di lato, scacciandone i fantasmi con un guizzo della volontà.
Allora quelle presero a emergere cupe dal buio, a rotazione veloce. Lui, annaspando, non trovava il tempo di affrontare quella perdita d’acqua nel muro, quel gesto del collega, quel documento della banca, quell’esame del sangue… Tornavano e tornavano, impedendogli di dormire: lo stavano sfinendo. Andatevene! Si voltò nel letto, serrando gli occhi. Doveva dormire.
Respiro.
Niente.
Respiro.
Niente.
Solo il buio. Ma non era calma: la sua mente era diventata una livida palude, dov’erano immersi i dati dei suoi problemi quotidiani, inerti a ogni elaborazione, senza soluzione. Peggio. Le questioni che aveva aperte, perfino quelle che avrebbero dovuto essere gradevoli, non avrebbero mai trovato la strada giusta. Nessuna strada si snodava bianca e sinuosa su per dolci colline (che pugnalata, in quest’ora il ricordo delle Crete senesi!) perché il mondo intero stava disfacendosi.
Come i mandanti dei comuni delinquenti, sono più potenti di loro, sono più dotati di risorse e coperture, così il destino dei suoi guai era deciso dai grandi problemi globali. Li vedeva rincorrersi vorticosi per la terra, spinti da un sempre rinnovato odio, per poi colpire nefasti. Povera gente in lunghe file che si confondevano con la notte, nell’ombra fosche sagome di potenti, ragazzi persi in baratri che si aprivano sotto i piedi, armi a tonnellate, macerie, calamità senza rimedio …
Basta! Non voleva più pensare, basta! Basta, voleva dormire! Invece le immagini delle vittime bambine lo mandava in un panico disperato. Il raziocinio gli diceva che i suoi figli erano nei loro letti al sicuro, non erano però al sicuro dai tenebrosi scenari dei suoi incubi. Nè lo era lei, ignara, che gli dormiva accanto; anche lei sarebbe stata travolta da qualche onda nera, alta tanto da non poter essere cavalcata. Intrecciato a una specie di paralisi, sentiva acuirsi un dolore fisico, viscerale, insopportabile. Poi più nulla: una pietosa spugna aveva cancellato in lui ogni traccia di coscienza. Dormiva di nuovo, graziato, finalmente.
Poche ore gli erano bastate perché si capovolgesse in lui il sentimento della vita. Alla luce – per quanto fioca – del giorno essa gli appariva addomesticata, accucciata ai suoi piedi. Le questioni di peso maggiore, come giganteschi animali esotici di un altro continente, erano invece collocati in un orizzonte lontano. Afferrò dunque con un certo piglio gli abiti, la tazzina del caffè; diede un bacio vigoroso ai famigliari assonnati e via, verso la stazione. Salì agilmente sul treno e con altrettanta agilità guadagnò un sedile vicino al finestrino.
Pensò di percorrere con la mente l’agenda della giornata, con un certo compiacimento per la sua buona organizzazione. Naturalmente erano segnati anche gli scogli da superare, ma stavolta erano concreti e circoscrivibili. Si disse che, tutto sommato, non era poi così difficile cavarsela, bastava andare sui binari giusti, come il treno che correva spedito.
Fu esattamente a quel punto dei suoi pensieri che il treno gemendo rallentò fino ad arrestarsi. Intorno una periferia grigia, che appariva ancora più grigia a motivo del tempo nuvoloso (come correttamente aveva previsto il meteo). Le teste dei passeggeri si allertarono nello stesso momento, tutti gli occhi a domandare: «Che succede?»
Succedeva il solito disservizio. Gli utenti detestavano i ritardi mattutini, ma né sbuffi, nè imprecazioni smossero il mezzo, fermo ormai da alcuni minuti. Lui era seccato come tutti, ovviamente, anche per il fastidioso senso di inutilità derivato da quell’inerzia forzata. Era infatti solito aggrapparsi alle cose da fare – agenda! – per stare a galla nell’oceano della vita.
Fuori dal finestrino i caseggiati erano così vicini alla ferrovia da poter distinguere gli oggetti posti sui balconi e lui ne cominciò un’attenta, inutile disanima. A un tratto si accorse di due persone, due anziani. L’uomo, seduto (su una sedia a rotelle?) davanti alla finestra, puntava un dito al cielo; la donna puliva il vetro, quasi seguendo quell’indicazione. Al termine dell’operazione gli poggiò le braccia sulle spalle e insieme si misero a contemplare qualcosa lassù.
Lui guardò istintivamente verso l’alto: cosa c’era di tanto speciale da vedere? In quel cielo stagnante poi! Dando credito, per così dire, alla loro gioia, scrutò con più attenzione. Allora anche lui vide: fra il grigio di nuvole e nuvole, andava aprendosi un raro squarcio di celeste. Era leggero, ma tuttavia si percepiva profondo ed esteso all’infinito dietro la nuvolaglia. Un celeste di solido cristallo, eterno rispetto ai nuvoloni che sarebbero passati, sospinti dal vento. Un’unica squillante e limpida nota di silenzio celeste.
Inizialmente restò senza fiato davanti a tale alterità, poi il suo respiro si fece più largo. Si persuase di quell’universo smisurato che aveva intravisto e che tornava a lui come fosse l’amico d’infanzia: conosciuto, ma poi colpevolmente negletto. Forse – sorrise, unico nel vagone – forse quella fermata imprevista era servita per dare a quell’amico il tempo di raggiungerlo.
Il treno intanto aveva ripreso la marcia e lui quasi se ne dispiacque, prima di accorgersi che quel celeste, però, era rimasto con lui. Esisteva! Nonostante la metropolitana affollata, le chiamate di lavoro…
Dalla sua scrivania cercò nuovamente lo squarcio nel cielo, tra le sagome dei grattacieli. Sì, eccolo! Ora di un azzurro più intenso, che andava ampliandosi, manifestando un poco della propria presagita vittoria.
E il mondo appariva più chiaro.