La giovane entrò nel negozio di fiori e si avvicinò al bancone, oltre il quale l’aspettava Giacomo. L’uomo, molto anziano, aveva il viso pallido e affilato e un lieve tremore che non lo abbandonava mai, segno di una salute precaria.
“Buongiorno Giacomo, come va? La mamma mi ha detto che mi cercava, cosa le serve?”
Gaia lo conosceva da quando era piccola. Per anni, quando sua madre era al lavoro, l’aveva tenuta con sé, nella bottega dei fiori. Era stato un nonno per lei. La ragazza pensò che, se c’era qualcosa che poteva fare per lui, l’avrebbe fatta volentieri.
“Cara ragazza sono molte le cose che non vanno, quando arrivi alla mia età. Ti ho cercato per chiederti un grande favore”.
“Dica Giacomo, cosa devo fare?”
“Devo mostrarti una cosa e affidartela. Mi è molto cara ed è molto preziosa”.
Si voltò e aprì l’armadio chiuso a chiave alle sue spalle. Prese con cautela un oggetto avvolto in un bel panno dorato, appoggiato su un ripiano. Sembrava, a prima vista, un vaso portafiori di medie dimensioni o almeno quella era la forma. Lo mise sul bancone, continuando a tenerlo con entrambe le mani, come se temesse che, lasciandolo, potesse capitare qualcosa di spiacevole.
Guardò Gaia che, di fronte a lui, lo osservava con l’espressione di chi non ha la minima idea di cosa stia per accadere.
“Ecco ciò che vorrei affidarti”. Giacomo disse le parole a bassa voce, con lentezza, srotolando il tessuto e rivelando la presenza di un contenitore di pietra grigia liscia, chiuso da un coperchio piatto, dello stesso materiale. Gaia vide che era in tutto e per tutto un’urna cineraria, un po’ più grande delle poche che le era capitato di vedere.
“Accidenti, Giacomo è uscito di senno” pensò. “Mi vuol dare le ceneri di qualche suo parente! Come glielo dico che non la posso assolutamente prendere quella cosa? Pover’uomo, sta molto peggio di quello che pensavo!”.
La ragazza mostrò sul viso ciò che le era passato per la testa. Il vecchio se ne accorse e si affrettò a parlare, temendo che Gaia facesse dietro front e uscisse dal negozio, senza neanche salutare.
“Non è quello che credi. Non contiene le ceneri di nessuno, stai tranquilla. Ma è un recipiente che ha a che fare con dei defunti. Defunti innocenti”.
La ragazza, che alle prime parole si era tranquillizzata, fece una smorfia: era nuovamente sconcertata e preoccupata.
Giacomo cercò di rassicurarla. “Ascoltami Gaia. Adesso ti dirò alcune cose, molto particolari. Ti prego, ascoltami bene e quando avrò terminato, mi dirai che ne pensi. Farai quello che vorrai, sei libera di andartene. Ho scelto di chiedere a te, perché sei una persona di grande cuore. Ti conosco, lo sei sempre stata”.
“Va bene Giacomo, la ascolto” rispose Gaia, senza cambiare espressione.
Restarono qualche secondo immobili e silenziosi, uno di fronte all’altra e in mezzo a loro, lo strano recipiente di pietra grigia.
“Quello che vedi qui, è un dono. Un dono affidatomi da una donna anziana, quando ero poco più grande di te. Lei mi disse che stava cercando qualcuno che continuasse a coltivare il suo giardino dei sogni ed io l’ascoltai squassato da sensazioni e pensieri diversi, esattamente come sta succedendo a te”. Prese fiato, e ricominciò a parlarle, con la stessa dolcezza di quando era una bambina, consapevole che ad ascoltarlo adesso c’era una donna.
“In quest’urna di pietra, che è un recipiente molto antico, ci sono le anime di un numero grandissimo di vittime innocenti. Vittime, che nella loro vita non hanno conosciuto la libertà, a cui non è stato riconosciuto alcun diritto, anche se potevano provare gioia, paura, orrore. Vittime che avrebbero voluto crescere i loro figli, imparare dai loro genitori, incontrare altri loro simili. Per loro, l’urna è una casa provvisoria, un rifugio che le protegge perché non possono uscire, non ancora, non è il tempo giusto. Lo Spirito della Terra ha dato loro una possibilità e loro l’hanno accettata, disposti ad aspettare. Ti chiedo di conservarla, finché potrai e poi darla, come sto facendo io adesso, ad un’altra persona che, secondo te, abbia il cuore grande per custodirla e così di seguito. Non sono solo io a fare da custode e dopo di me non ci sarai solo tu: i custodi sono sparpagliati su tutta la Terra. Gli spiriti che abitano l’urna, sono anime già salve, protette dallo Spirito della Vita, che anelano toccare ancora una volta la terra e sentirne la vibrazione e la bellezza, perché troppo presto hanno dovuto abbandonarla.
Noi, donne e uomini, accudendoli, siamo i custodi della Terra e proteggiamo i loro desideri. Ci sarà un tempo, in cui potremo liberarli ed essi incontreranno i loro sogni: una realtà d’amore, riconoscenza e rispetto, che non hanno conosciuto prima. Allora sarà saldato il legame tra tutti gli spiriti dei viventi”.
Il vecchio tacque. Aveva parlato con dolcezza ma anche con passione e i suoi occhi adesso erano umidi e il suo viso pareva ancor più rugoso e pallido.
“Custodire l’urna vorrà dire coltivare questo giardino. Dovrai dedicarle qualche minuto, tutti i giorni, mandando un pensiero gentile a tutte queste anime. Loro ti sentiranno e così le sosterrai, nell’attesa che giunga il tempo della fioritura e del ritorno nel mondo”.
La ragazza aveva per tutto il tempo scrutato l’urna, quasi a volerne trapassare la parete per vederne il contenuto.
Quando l’uomo tacque, inghiottì rumorosamente la saliva e disse: “Giacomo, mi sta chiedendo di tenerla, di essere una custode fino a quando arriverà il tempo in cui il mondo capirà che c’è un unico spirito che unisce i viventi. Allora potremo aprire le urne e far uscire le anime che non sono state rispettate dall’uomo e ricongiungerci con loro”.
Gaia si appoggiò al bancone e sentì il suo cuore riempirsi di commozione. Ebbe l’impressione di essere attraversata da un’onda, una vibrazione che bisbigliava suoni incomprensibili, qualcosa o qualcuno che voleva accarezzarla dolcemente, per palesare la sua presenza.
“Giacomo, va bene, me la sento. Quando verrà il tempo, mi prenderò cura dell’urna, te lo prometto”. La sua voce era calma e lei si sentiva serena. Poche altre volte si era sentita così.
“Gaia, ti ringrazio. Il tempo verrà presto”.
Uscirono dal negozio e si salutarono. Il sole stava tramontando, incendiando il cielo terso di una giornata senza nuvole.
Giacomo la vide allontanarsi e sentì un brivido di freddo. Avrebbe dovuto rientrare, ma non lo fece: rimase sulla soglia di casa, ad ammirare quel panorama perfetto della sua ultima estate.
I custodi della terra
di Franco Padovan