Ho la bocca impastata, il respiro corto. È come se avessi un chiodo piantato in testa.
Cosa mi sta accadendo?
Sul collo mi scorre un gelido brivido.
Dal buio proviene un suono cupo, ovattato. Cresce, sempre di più.
Pian piano dischiudo gli occhi. È ancora buio. Strano dovrebbe già essere mattina, ma dove mi trovo?
Sembra il mio letto. Ma non sono sicuro. Non capisco se sono sveglio o no.
Realizzo che il suono lontano è quello della sveglia. È puntata sulle sette.
Allungo la mano per spegnerla ma inavvertitamente la urto. Con un gemito cade e rotola per terra.
Forse ho avuto un incubo. Sicuramente qualcosa di tremendo perché ancora adesso il respiro è affannato e il cuore batte forte.
Sposto il cuscino e mi accorgo che è impregnato di sudore.
Scivolo fuori dal letto e mi trascino in bagno.
Dalle persiane chiuse non filtra luce. Che strano, eppure sono già le sette e un quarto.
Faccio ancora un po’ fatica a realizzare dove sono e chi sono. Che cosa mi è capitato?
Dovrebbe essere lunedì. Si, dovrebbe proprio essere lunedì.
L’acqua fredda sul volto mi dà una scossa e finalmente mi sblocco: quello nello specchio sono io, proprio io, ancora io.
E’ tardi, molto tardi, oggi ho una giornata piena di impegni. Non posso arrivare in ritardo.
Raggiungo la cucina, metto su il caffè, accendo la tv. Controllo se sono arrivati whatsapp, messaggi vocali, mail. Niente.
Fuori c’è una strana penombra. Speriamo che non piova. Non oggi.
Al TG le solite notizie: guerra in Ucraina, terremoto in Turchia, un femminicidio, incidenti sul lavoro, il Po in secca, fortissimi temporali in Cina, ondata di gelo in California, gente in costume che fa il bagno in Sicilia. Cambio canale: notizie sportive, traffico, ecc. ecc. Niente di nuovo. Niente di eccezionale.
Mi sforzo di ricordare cosa ho sognato.
Niente, non mi viene in mente niente. Dai, è passata. Capita.
Mi resta comunque incollata una sottile inquietudine.
Mi vesto con cura, oggi devo fare una buona impressione in ufficio. Pongo attenzione anche agli accessori. Il successo si costruisce con le piccole cose.
Prendo l’auto o la moto? forse è meglio la moto, arrivo prima. Con tutto il traffico che c’è.
E se piove? meglio l’auto, più sicura. Non posso mica arrivare tutto fradicio in ufficio.
Scendo con l’ascensore in garage. All’ultimo decido di prendere la jeep, così posso parcheggiare sul marciapiede senza rovinare le gomme e poi, poi faccio rosicare i colleghi. Già li vedo e mi sento meglio, molto meglio.
Finalmente la giornata sta prendendo la piega giusta.
Esco dal garage. Non c’è la solita luce del mattino, c’è una penombra strana, fastidiosa.
Un brivido mi corre lungo la schiena.
Altro che piega giusta. Neanche esco dalla via che ti trovo un gruppo di giovani che manifestano contro il “riscaldamento globale” e bloccano il quartiere. Non ci si muove di un passo. Non posso arrivare in ritardo.
Mi monta una rabbia profonda. Maledetti, cosa manifestate a fare. Toglietevi dalle palle.
Esco il braccio dal finestrino, due colpi di clacson, una sgommata, una inversione a U e sono di nuovo a casa.
Inforco la moto, tanto non piove. Intanto la penombra continua a tormentarmi.
Corro. Arrivo in ufficio giusto in tempo per il primo appuntamento. E poi il secondo, il terzo e via di questo passo. Tutto perfettamente nei programmi. Anche il pomeriggio scorre via liscio senza intoppi.
Semmai l’intoppo è il persistere della penombra. Sempre più indefinibile, anomala.
Sento che mi sta entrando nelle ossa, che mi è entrata nella testa.
Che cosa mi sta succedendo? Mi sento strano, molto strano.
Torno a casa, attraversando la città con il suo solito terribile, opprimente traffico. L’acre odore degli scarichi delle auto si insinua nel casco. L’aria è irrespirabile.
Non ci ho mai fatto caso prima.
Cerco di arrivare a casa il più in fretta possibile. Mi infilo con la moto in garage e raggiungo il mio appartamento, al settimo piano.
Entro in casa.
È buio. Non sono che le 17 di un normale mese di marzo ed il cielo è già scuro, minaccioso.
No, non è nebbia. E non sembrano neppure nuvole.
Ho bisogno di una doccia. Sento addosso una patina di non so che, che mi avvolge, mi soffoca. Non capisco.
Esco dal bagno e mi infilo in cucina. Accendo la radio e il computer. Cerco qualcosa che mi spieghi, che mi dica cosa sta succedendo. Nulla. La solita musica. Le solite notizie: guerre, terremoti, uccisioni, sconvolgimenti climatici, gente in costume che si fa il bagno in Sicilia, ricette culinarie, notizie sportive, ecc. ecc.
Niente di nuovo, non trovo niente di nuovo e paradossalmente questa normalità mi turba ancora di più. Ci fosse una notizia, una, diversa dal solito. Tutto sembra normale.
È proprio strano, neanche la notte riesce a sostituire l’ombra che ha preso possesso della città. Un’ombra diffusa, indicibile. Mi morde dentro. È una sensazione sgradevole, opprimente, maligna.
Non mangio. Non ci riesco. Apro il frigo, prendo un po’ d’acqua. Il gusto è pessimo.
Mi butto sul divano, vestito.
Inizio a sudare, provo ad alzarmi ma non riesco. Sembro inchiodato.
Sono aggredito dall’angoscia. È insopportabile.
Poi, non so come, cado in un sonno vigile.
Che paradosso.
Non trovo pace, dormo o sono sveglio?
È l’ombra che sta devastando il mio corpo, la mia mente.
È l’ombra che ha avvolto i miei pensieri, catturato la mia anima.
Poi, dopo una infinità di tempo, sfinito, sprofondo nell’oblio.
Alle sette del mattino, puntuale, rigoroso, salvifico, si ode un suono.
È la sveglia.
Con timore apro lentamente gli occhi e scopro che dalla persiana entra un filo di luce.
Provo ad alzare un braccio. Si muove. Scivolo dal divano e mi sento leggero, sollevato, vivo.
Apro la finestra e spalanco le persiane. Un raggio di sole mi accarezza il volto.
Mi affaccio. Due ragazzi si baciano alla fermata dell’autobus, una donna esce con un bambino per mano, si sentono risate di studenti per strada.
È la vita.
Accendo la radio: dicono che è lunedì. Ma come lunedì? Ancora lunedì?
È la conferma che ho vissuto un incubo? un drammatico e profetico incubo?
La radio snocciola le “stesse” notizie ma per me non sono più le “stesse”.
Realizzo che anch’io posso, no, devo, contribuire a cambiare le sorti di questo meraviglioso pianeta.
La luce che entra dalla finestra rimbalza nella mia anima e l’ombra, almeno per ora, si è ritirata.
C’è, è presente, ma non mi ferisce più.
Ho tanto da fare per migliorare la mia vita, la nostra vita, la vostra vita.
E voi?
Un pensiero intrigante mi attraversa la mente: “Oggi andrò in ufficio in bicicletta”.