La nave alla fonda davanti all’isola rollava quieta sopra l’onda lunga. Finn non avrebbe mai immaginato che la luna potesse splendere così anche sotto il cielo della Croce del Sud.
Finn era di guardia e, al suo primo imbarco, gli sembrava una gran cosa. Essere il più giovane a bordo poteva essere un brutto affare, ma lui decise che non si sarebbe ribellato né ai brutti nomignoli né a tutto quel lavoro che non finiva mai. Certo, non bastava questo a farsi sopportare, ma si sentiva l’acqua salata nelle vene e prima o poi sarebbe stato un vero marinaio. Intanto, se ne stava lì, sul ponte, a sentire lo scafo tendere la catena dell’ancora e allentare la presa come se fosse una cosa viva, che respirava, e che poteva risvegliarsi da un momento all’altro.
Il capitano aveva concesso una serata di libertà e, sebbene a lui toccasse invece il turno di guardia, questo non lo infastidiva per niente. Per la verità, un po’ sì, ovvio. Era un ragazzo, e le risate sguaiate che di tanto in tanto rimbombavano sottocoperta gli lasciavano in cuore una punta d’invidia. Avrebbe voluto esser lì con gli altri ad ascoltare le storie che i marinai più anziani raccontavano laggiù. Se solo non avesse avuto quell’età da “moccioso”…
Così, guardando ora il mare tremulo e argenteo, ora il ponte azzurrognolo e deserto, con gli alti alberi neri come la notte e le vele ben serrate e grige, cercava di evocare quelle storie sperando, un giorno, di esser capace pure lui di lasciare col fiato sospeso i suoi amici.
Allora Finn, passeggiando su e giù per il ponte, dandosi un’aria fin troppo grave se qualcuno l’avesse visto, udendo l’ennesimo scoppio di risa, pensava fosse merito del vecchio nostromo che, avendo prestato servizio sulle navi da guerra di Sua Maestà, parlava di capitani e ammiragli – non sempre coraggiosi e intrepidi – che di tanto in tanto capitombolavano lunghi distesi sul pagliolo… ma c’erano anche navi dai cannoni tuonanti e spade consegnate da ufficiali di tutto rispetto, e tutti, muti e attenti, si figuravano quelle belle navi avvolte nel fumo d’artiglieria… Fin quando con ripetuti colpi menati sul tavolaccio si stabiliva che toccava a qualcun altro. Forse, al Norvegese, un molosso con certi baffoni da vichingo, con le sue storie di enormi mostri marini tentacolati, balene da cacciare e coraggiosi marinai ai remi delle lance… Sembrava che non avesse paura nemmeno del diavolo, invece, all’ombra dei bagli, era quello che più spesso aveva gli occhi lucidi. Finn, però, non era sicuro fosse lui il narratore, infatti, poteva essere anche Hob, con le sue storie di spiriti del mare furbi e maligni, navi fantasma e naufragi. Oh, che silenzio abissale calava! E come batteva forte il cuore nel risalire in coperta e scoprire che dietro ogni ombra poteva nascondersi… d’istinto Finn cercò la campana. Si era allontanato troppo, non era armato, e, se fosse successo qualcosa, avrebbe fatto bene, oltre che ad usare i polmoni, a servirsi di quei rintocchi per lanciare l’allarme.
La goletta, però, rollava lenta, beccheggiando un po’. Riprese quella sua specie di ronda, e, dando le spalle a prua, immaginava le lanterne ancora accese che illuminavano le finestre dell’elegante specchio di poppa, bagnando di luce dorata anche il riflesso sottostante. Chissà se anche in quell’austero e distaccato mondo, tra vini e tazze da tè, pure quei gentiluomini usavano raccontarsi qualcosa, si chiedeva Finn. Perché a Finn piaceva credere che anche a quelle latitudini di storie se ne raccontassero, oh, sì, eccome! Magari, di amori dovuti abbandonare, sacrificati a quello per la propria nave…
All’improvviso, però, qualcosa Finn la udì davvero. No, non era lo scricchiolio della carena, né il cigolio dei bozzelli. Era qualcos’altro. Corse alle murate. Da una parte il mare aperto, dall’altra, l’isola. Trattenne il respiro. Ormai tutto gli suonava di minaccia. Più volte fu sull’orlo di dare l’allarme ma prima voleva essere assolutamente certo di ciò che aveva udito. Un brivido gli percorse la schiena e di nuovo si precipitò alla murata di sinistra, rivolta all’isola. E se fosse stata abitata da cannibali che, scivolando silenziosi sull’acqua, cercavano già di salire a bordo approfittando dal lato in ombra della goletta? Lo sciacquio si era fatto più forte contro i fianchi della nave all’ancora. E se non fossero stati soli in quel braccio di mare? No, non delle piroghe, ma un bastimento di… pirati?
Allo sciabordio della marea montante, si aggiunse una brezza fredda che si levò dal mare proprio come uno di quei vascelli fantasma evocati da Hob, mentre, a bordo, Finn – che stavolta sbiancò, tanto era certo di non sbagliarsi – sentiva che invisibili passi battevano la tolda…
Finn era smarrito. Si cercava addosso armi che non aveva e la campana di bordo non gli era mai sembrata così lontana. Gli rimaneva la voce, ma, oh, come gli rotolava giù in gola, invece, l’unica parola che doveva pronunciare…
– Ehi, laggiù! Tutto bene, marinaio?
Gli si squagliò il cuore nell’udire una voce conosciuta.
– Tutto bene, capitano. – Rispose Finn d’un fiato ora ridendo di sé stesso. Il suo primo turno di guardia stava per finire e forse qualcuno gli avrebbe chiesto come l’aveva passato. Con le parole giuste, pensava Finn, poteva anche venirne fuori qualcosa di divertente.
Finn
di Sara Tosi (di Induno Olona)