La celebrazione volgeva al termine. Molte delle persone al seguito già facevano guizzare gli sguardi verso il tavolo dei rinfreschi, mentre una ragazza scura e sorridente, con un braccio solo e un fiocco di raso rosso nei capelli, stava finendo il suo discorso: “Abbiamo pensato di dirti grazie, signor Presidente, preparandoti un regalo tutte noi assieme…”
D., il presidente, sorrideva benevolo, mentre pensava a tutt’altro.
Poi alcune ragazze vennero ad abbracciarlo, e gli consegnarono il regalo, che lui volle lasciare lì in Sede, ma gli dissero che no, era proprio per lui e per tutto ciò che aveva fatto, e D. allora smise di protestare e se lo portò giù in cortile, dove aveva parcheggiato l’auto; abbassò i sedili posteriori, e infilò dal baule il dono voluminoso. Si trattava di un plastico con un presepe, preparato dalle ragazze di un ospedale, in Etiopia, che la sua associazione aveva adottato a distanza.
Prima di chiudere il portellone lo guardò.
Era tutto fatto di sassolini, che erano stati colorati uno per uno, e quindi incollati insieme per ottenere delle casette, o animali, o statuette di pastori; sui vari pezzi le bambine avevano apposto i loro nomi. Alcune di loro, pensò vagamente, saranno già morte.
All’ospedale mancavano di tutto, infatti, o quasi. Ma non potevano protestare, o gridare il loro sconforto… potevano solo dire grazie. Lui pensò che col prezzo dell’ultima cena offerta per vincere una commessa governativa avrebbero potuto spedire abbastanza medicinali da guarire tutte quelle bambine, almeno quelle del presepe.
E mentre chiudeva il portellone guardò su verso le finestre del comune, e pensò che sarebbe ritornato alla festa, là sopra, circondato dall’affetto di tutti, e fu sorpreso di sentirsi un groppo alla gola per l’emozione.
Forse… pensò. Oh Dio, forse siamo ancora in tempo.
Nel tardo pomeriggio rincasò un po’ stordito. Trascinò il presepe fin dentro casa e lo mise sul tappeto. Lo guardò a lungo, poi andò a fare la doccia. Mancavano anche d’acqua, laggiù, pensò. Poi ritornò in salone, e si rimise a guardare il presepe.
Che non fosse ancora troppo tardi? Si trattava di un segno?
Dopo una mezz’ora arrivò sua moglie, che era ancora bellissima; gli sorrise, ma trasalì alla vista del presepe. Da dove veniva quel ciarpame? Avrebbe portato le formiche, se non le aveva già? Ah quell’ospedale…? Era proprio il caso di litigare per questo?
Non lo era.
Lui non voleva buttare il presepe, però. Protestò debolmente. Trovarono un compromesso.
Visto che la sera dovevano partire per la montagna, decisero di ricaricarselo sul bagagliaio, e lasciarlo lassù.
Mentre salivano per i tornanti, qualche ora dopo, la moglie di addormentò.
Lui ricordò gli ultimi tre anni, da quando era entrato nell’Associazione. Aveva avuto successo oltre ogni speranza, era colto e credibile, e riusciva sempre a mettersi in buona luce, anche se spesso doveva mentire su tutto… ma che successi, che serate! Un giro di conoscenze inimmaginabile, prima. Sua moglie che, ora, lo adorava.
Ma quel presepe, per Dio, con le bambine che morivano mentre mettevano assieme le pietre per dirgli grazie… cercò di pensare ad altro, concentrandosi sulla guida, e come sempre ci riuscì.
Il giorno dopo, mentre la moglie puliva un mobile e lui era fuori a far la spesa, in qualche modo il presepe precipitò sul pavimento e andò in mille pezzi, e lei mise tutti i cocci in due sacchetti e andò a buttarli nel cassonetto.
Al suo rientro, D. non trovò traccia del presepe. Mise sulla tavola, togliendole dai suoi sacchetti, verdure, salumi, e buon vino. Pensò che, in fondo, era meglio così.
Mentre mangiavano, il telefonino squillò tre volte.
Erano tutte chiamate importanti, persone che lo stimavano e lo volevano coinvolgere in iniziative interessanti, occasioni dove poteva far sfoggio di sé stesso, e della moglie; l’ultima telefonata era un invito a Portofino, di lì a due settimane, per un galà.
Lei disse “Oh, caso… cosa mi metto…” quando lui la informò. Poi gli prese il telefono e glielo spense. Lo guardò sospirando, si alzò, andò in camera e dopo qualche minuto lo chiamò.
Lui scacciò l’ultima immagine del presepe dalla sua mente, ed iniziò a spogliarsi.
Tutto rientrava meravigliosamente nella norma.
Suor Adele, intanto, aiutava Merika, ormai troppo debole per tenere il pennello, a finire di colorare in giallo un sassolino a forma di ciambella.
Quand’ebbero terminato, lo appoggiarono al sole, ad asciugare, e Merika lo guardò a lungo.
È… un’aureola, pensò, mentre gli occhi le si chiudevano per la fatica.