Giovanni amava le nuvole. Si sentiva libero e leggero quando le osservava attraversare il cielo. Le loro forme lo facevano sognare a occhi aperti e la cosa che gli accadde un giorno, fece sì che le amasse ancora di più.
Se c’erano due cose che non gli erano mai mancate erano la fantasia e la curiosità. “Chissà da dove vengono e quante cose vedono da lassù? Quante cose avrebbero da raccontare, se solo qualcuno le ascoltasse?”, immaginava quando le ammirava rincorrersi.
Ma era da tanto tempo che Giovanni non vedeva i suoi amici e che non poteva nemmeno buttarsi sull’erba. Aveva 6 anni quando capì che faceva fatica a respirare. Due anni dopo i dottori gli avevano dato bomboletta e mascherina per aiutarlo. Ma le cose non andavano bene. Si sentiva sempre stanco. Era stato costretto a smettere di andare a scuola e di giocare a basket. Da allora passava la maggior parte del tempo nel letto della sua camera. Il padre lo abbracciava e gli diceva che tutto sarebbe tornato come prima, ma lui sapeva che non sarebbe stato così.
Giovanni era forte e coraggioso. Aveva 10 anni, i capelli corti e neri. Era un po’ pallido, come le sue nuvole.
Da un anno viveva chiuso in casa e si era fatto spostare il letto vicino alla finestra perché, anche se era ammalato, passava ore con il padre ad ammirare la sfilata delle nuvole. Da qualche tempo si era messo anche a salutare.
Poi un giorno accadde una cosa che proprio non si aspettava, ma che aveva sempre sognato: una nuvoletta bianca, a forma di tappo di bottiglia, si fermò e formò la scritta “Ciao Giò!”.
Il ragazzino non riusciva a credere ai suoi occhi. Si mise in ginocchio sul letto, si tolse la mascherina e appiccicò la faccia al vetro. Era proprio vero allora! Quella nuvola stava parlando con lui. Gli fu naturale sorridere. “Allora ci vedono e ci capiscono… Lo sapevo”, pensò eccitato.
Ma quello che aveva fatto quella nuvola era proibito: le leggi del cielo vietano di comunicare direttamente con gli umani. Il re Sole si arrabbiò. Per punire quella sua figlia così disobbediente concentrò uno dei suoi raggi incandescenti proprio su di lei e iniziò a scioglierla. Dopo pochi secondi la nuvola diventò un batuffolo e scivolò giù, come una foglia in autunno. Giovanni non la perse di vista e la seguì atterrare in un bosco di abeti poco distante dalla sua casa. Non gli servì molto per capire quello che avrebbe dovuto fare: mentre il padre era distratto alla tv, si infilò un maglioncino, prese con sé il carretto su cui trasportava la piccola bombola di ossigeno, e raggiunse il bosco.
Trovò la nuvola. Era davvero molto piccola, non più grande di due pugni uniti, e soffriva. La prese da terra con delicatezza e la portò nella sua camera. “Non ti lascerò morire qui. Ora verrai con me e ti salverai”, disse. Nuvola si trasformò in bocca e rispose con quel poco di ossigeno che le rimaneva: “Grazie. Sarei sicuramente evaporata se fossi rimasta nel bosco. Il mio nome è Bianca”.
Giovanni la nascose sotto il letto, ma prima avvicinò la sua mascherina a Bianca. Aprì la valvola della bombola e uno sbuffo di aria fresca ricoprì la nuvola. Al suo bianco pallido si sostituì un azzurro brillante. Quella fu la prima notte in cui dormirono insieme.
Nei giorni seguenti Giovanni e Bianca parlarono molto, ovviamente di nascosto al padre. Si raccontarono le loro storie e i loro desideri. Giovanni avrebbe voluto tornare tra i banchi con i suoi compagni e a giocare con gli amici. A Bianca mancavano le sue sorelle nel cielo. Lui si sentiva responsabile per quello che le era successo, ma lei lo consolò: “Non è stata colpa tua. Ho fatto quello che volevo fare, anche se era contro le regole. Ti avevo notato da mesi alla finestra. E’ così bello vedere che c’è ancora qualcuno che ci guarda divertito… Di solito quando gli uomini alzano gli occhi al cielo lo fanno solo per assicurarsi che non pioverà. Mentre tu eri così felice. Non ho potuto non dirti nulla”.
Giovanni allora le giurò che avrebbe fatto di tutto per farla tornare a casa. Ma la sua salute peggiorava. Bianca lo guardò preoccupata. “Che cos’hai?”, gli chiese. Il ragazzino respirò alcune boccate di ossigeno con la mascherina e spiegò: “Non sono come tutti gli altri. Ho la malattia del respiro. Fin da piccolo non riuscivo a far entrare l’aria e i dottori mi hanno detto che ho i polmoni che si schiacciano. Prima potevo uscire di casa; adesso no. Papà dice che andrà tutto bene, ma io so che non è così…”. Bianca lo abbracciò e lo incoraggiò. – “Mi dispiace, ma anche tu devi avere fiducia perché niente è finito finché abbiamo la forza di lottare”.
Le settimane passavano e ogni giorno, prima di addormentarsi, Giovanni usava la sua bombola di ossigeno per “ricaricare” Bianca, che cresceva e cresceva. Una mattina il ragazzo si svegliò e vide che l’amica occupava quasi tutta la stanza. “E’ ora che tu torni in cielo”, le disse.
“Non voglio lasciarti”, rispose lei.
“Devi andare”, disse Giovanni con gli occhi lucidi e le diede una bella spruzzata di ossigeno, che la fece schizzare fuori dalla finestra.
Bianca raggiunse le sue sorelle, che la riabbracciarono felici. Guardò verso la cameretta dell’amico e gli strizzò l’occhio.
Giovanni si mise a ridere. Rise così forte che iniziò a tossire. Gli mancò il respiro. Girò la valvola dell’ossigeno, ma la bombola era vuota. Gridò forte e cadde.
Il padre lo sentì e corse in camera. Lo prese in braccio e salì in macchina. Non aveva mai visto una crisi simile, doveva correre all’ospedale. Bianca vide tutto dall’alto e li seguì.
I dottori visitarono Giovanni e diedero una terribile notizia al padre: suo figlio non avrebbe retto un altro attacco. L’adulto pianse. Il ragazzo fu ricoverato in una stanza all’ultimo piano.
Bianca lo vide. Sembrava addormentato e aveva due tubi che gli uscivano dal naso. La finestra era aperta e in camera non c’era nessuno. La nuvola entrò e si avvicinò all’amico.
“Giovanni svegliati. Sono io!”, gli disse.
“Cosa fai qui?”, domandò lui con un filo di voce.
“Non potevo abbandonarti. Mi hai aiutato tanto, ora tocca a me. Ho un’idea: apri la bocca”.
Giovanni obbedì e la nuvola si fece vapore, scivolando nel suo corpo ed entrando nei suoi polmoni schiacciati. Con la sua freschezza e la sua forza li allargò e il giovane riuscì, per la prima volta dopo anni, a respirare aria pura”.
“Ma perché l’hai fatto Bianca? Così non volerai mai più”, chiese Giovanni preoccupato.
“Volerò insieme a te invece – sussurrò una vocina da dentro di lui – Staremo per sempre insieme, ma promettimi che non smetterai mai di sdraiarti sui prati e guardare le nuvole. Così per me sarà sempre come essere a casa”.
“Promesso, amica mia”, rispose lui.
Il respiro della nuvola Bianca
di Marco Barbieri (di Reggio Emilia)