Come il quaderno fosse finito sul fondo del vecchio comò appartenuto a suo nonno e da quanto tempo ci stesse, erano belle domande per Laura. Lo aveva trovato un giorno per caso, togliendo l’ultimo cassetto. Le venne persino un duplice dubbio, se fosse scivolato da solo là sotto oppure ce l’avesse spinto la mano invisibile di un fantasma burlone. Siccome, non credeva ai fantasmi ed era improbabile che un quaderno potesse muoversi autonomamente, non scartò del tutto l’idea che il nonno stesso l’avesse nascosto lì apposta.
Antico, più che vecchio, dava l’impressione di aver resistito abbastanza bene al lavorio del tempo. La nera copertina goffrata aveva perso l’aspetto lucido, mentre ormai sbiadito, il filo rosso sul margine esterno dei fogli si vedeva appena. Eppure, proprio una lieve orecchia nell’angolo in basso, invitava Laura ad aprire il quaderno, lasciando intendere che all’interno vi fosse racchiuso qualcosa di prezioso. Già nel voltare la copertina, davanti ai suoi occhi sbocciò improvvisamente una margherita di ricordi, nella quale ogni petalo era un’immagine. Il grembiule bianco, il colletto rigido tenuto unito alle estremità da un piccolo fermaglio di metallo, il fiocco blu e la cartella rossa, che odorava di cuoio, chiedendo di essere annusata. Dentro, insieme ai quaderni, l’astuccio con matite colorate, temperino, gomma e quant’altro, ma soprattutto la penna… Stilografica o a pennino? Era evidente. Per scrivere le righe nel quaderno non era stata usata una stilografica. Si riconosceva dal tratto, largo o stretto delle linee che componevano le lettere. In un attimo il pensiero la trasportò in classe, nel momento in cui la bidella entrava nell’aula reggendo con le mani il serbatoio dell’inchiostro a becco lungo. Passava poi fila per fila a rabboccare ciascun calamaio, incastrato in un foro del banco vicino allo spigolo in alto. Laura era certa che la bidella mai avesse fatto cadere una sola goccia, anche perché puliva la punta del becco con uno straccetto, intanto che si spostava verso il banco successivo, silenziosamente, senza disturbare la lezione della maestra… Invece, in quel quaderno scovato nel comò di gocce ne erano cadute parecchie, dato che non mancavano in nessuna pagina. La cosa curiosa era che stavano in basso, circa al centro del foglio, e contrastavano col testo, scritto in bella calligrafia e privo di sbavature. “Neppure fosse stata usata una stampante laser…” Osservò Laura, che prima d’iniziare a leggere preferì esaminare le macchie. La colpì il fatto che si ripetevano in numero sempre eguale con dimensioni pressoché equivalenti su tutte le facciate. Inoltre, di quei segni, quattro erano cerchi, uno aveva la forma ovale e l’ultimo, rettangolare, era più grande rispetto agli altri. A seconda delle pagine alcuni potevano essere vuoti e i restanti pieni, nel qual caso avevano l’aspetto di vere e proprie macchie, compreso il rettangolino. Quest’ultimo era piazzato di fronte a tre cerchi, di dimensioni diverse tra loro, mentre il quarto era disposto sul lato sinistro e l’ovale su quello destro. “Se sono state fatte apposta, chissà che rappresentano?” Mormorò tra sé Laura, che sfogliava le pagine con delicatezza in avanti e all’indietro per confrontare le differenze. “Quelle piene, le ha fatte appoggiando il pennino bagnato d’inchiostro sulla carta porosa perché l’assorbisse!” Un altro ricordo le fluttuò nella memoria. Da bambina per provare l’effetto della carta assorbente, ci appoggiava sopra il pennino, guardando la macchia che si dilatava, veloce all’inizio, poi via via più lentamente fino a quando cessava di ingrandirsi una volta che l’inchiostro era stato risucchiato tutto. Riprese a sfogliare. Notò come i pieni e i vuoti dei diversi segni variassero per tre pagine di seguito, poi riprendevano nuovamente in maniera uguale per altre tre e così via, generando una sorta di cadenza. “1-2-3, 1-2-3…ecco che cos’è…il nonno suonava la batteria e il pieno è quando la bacchetta batte!” Esclamò Laura, a voce alta, “il ritmo della mazurka…charleston e grancassa, rullante, rullante”. Lesse il testo. “11 giugno 1940. Hanno dato via al ballo, sopra le nostre teste e noi qui stipati nel rifugio, solo così possiamo suonare la nostra musica, per non pensare a quello che sta succedendo là fuori…” Laura prese a girare febbrilmente le pagine fin oltre metà quaderno. Il cuore le batteva forte, poiché mai le era capitata una cosa simile. Da un certo punto in poi, i segni e le macchie, cambiavano continuamente da una pagina all’altra, senza alcun nesso, come se non vi fosse più un ritmo definito. Lesse ancora dal punto in cui partivano quelle sequenze incomprensibili. “13 luglio 1943. Questa musica arriva dall’America. È bebop ed è travolgente. Scatena emozioni incontenibili, che fanno vivere chiunque l’ascolti. Immagino che i bombardieri dal cielo lancino le sue note e non le bombe.” Laura, fece scorrere i fogli fino all’ultima pagina. A differenza che nelle altre, qui vi erano molte più macchie, a gruppi di sei con svariate combinazioni di pieni e vuoti. Pareva vibrassero. La luce balenò sull’inchiostro come una gibigianna e le accese la fantasia di suo nonno. Seduto alla batteria eseguì la chiusa del brano. Batteva le bacchette con ritmo indiavolato su ride, tom e rullante, e pestava i piedi su grancassa e charleston. Il corpo di Laura risuonò in un lunghissimo rullio, da lasciarla senza fiato.
La batteria nel quaderno
di Alberto Camerano di Asti