Mio padre voleva a tutti costi farmi diventare qualcuno.
Quando nacqui uscii a fatica. Ero talmente grosso che il cuore di mamma cessò di battere.
Così vissi con papà.
Iniziai la scuola, ma ci rimasi poco. La direttrice chiamò papà per informarlo che non seguivo le lezioni e che doveva mandarmi all’istituto per “bambini come me”.
Ci sono andato in quella scuola di “bambini come me”, e lì imparai a conoscere ciò che m’insegnavano attraverso il movimento delle labbra, ma restavo nella solitudine del mio silenzio, dentro un mondo anch’esso silenzioso: tutto ciò che mi stava attorno era privo di emozioni e io non potevo rispondere mai a nessuno.
Mio padre non si perse d’animo:
«Tu Giorgio, diventerai qualcuno: non importa se devi vivere nel silenzio.» mi ripeteva spesso.
A dieci anni ero così alto che la maestra mi chiedeva che tempo facesse quassù. Mio padre continuava a ripetermi che avrebbe trovato il modo per farmi diventare qualcuno.
Quando uscivo nel cortile i bambini mi tiravano i sassi che io prendevo al volo per poi cadere sull’asfalto. Così il mio papà decise che avrei dovuto indossare un casco da ciclista per scendere a giocare.
A quindici anni i ragazzi in strada, quando mi vedevano, mi tiravano ancora i sassi e io mi lanciavo a prenderli al volo, quasi temevo che toccando terra si frantumassero.
«Venite, c’è lo scemo, tiriamogli i sassi!» gridavano, ma io non potevo rispondere mai a nessuno.
Papà un giorno mi osservò mentre acchiappavo i sassi al volo, cadendo poi a terra e rialzandomi subito per prenderne degli altri.
«Ho trovato!» mi disse felice.
Mi accompagnò a Milano.
C’erano dei ragazzi vestiti con delle maglie rosse a strisce nere, con i numeri scritti dietro.
Un signore spazientito disse a papà: «Ma chi l’ha fatta entrare?»
Papà gli propose: «Fatelo provare e poi ditemi!»
«Non abbiamo tempo da perdere noi!»
«Cosa vi costa? Vedrete che non ve ne pentirete.» insistette mio padre.
«Va beh, proviamo.»
«Allora Giorgio.» disse mio padre orgoglioso «Questo è il momento più importante della tua vita. Mettiti davanti a quella rete e prendi la palla al volo, come fai con i sassi che ti tirano quelli del rione, Capito?»
Non avevo mai visto mio padre così emozionato e avevo capito, dal movimento delle sue labbra, che quella sarebbe stata la mia occasione per diventare qualcuno.
Andai verso la porta e mi posizionai tra i pali.
Un ragazzo prese la rincorsa e calciò con potenza il pallone. Era indirizzata a gran velocità nell’angolo della rete dietro di me, ma io con un salto la bloccai.
Ripetei quel gesto molte volte: la palla giungeva da ogni direzione e mi sembrava quasi che i ragazzi volessero ad ogni costo gettarla alle mie spalle. Ma io non permettevo che entrasse, prendendola al volo mentre papà gridava:
«Fagli vedere chi sei! Forza!»
Quando smisero di tirare la palla, un signore mi prese le mani:
«Benedetto ragazzo, tu sei il miracolo che stavo cercando!»
Da allora mi hanno fatto indossare una maglia nera con dietro il numero uno. Hanno detto che faccio parte di una grande squadra.
Prima di posizionarmi davanti alla rete un signore mi dice sempre:
«Devi solamente prendere al volo la palla.» e io impedisco sempre che s’infili alle mie spalle.
Io non posso parlare e vorrei sapere quando mi daranno una maglia con un numero maggiore, magari un tre o un sei; o almeno rosso e nera come quella dei miei compagni. Ho girato tutte le città posizionandomi sempre davanti alla rete e fermando le palle che i ragazzi dell’altra squadra cercavano invano di infilare alle mie spalle. Ma io non ho permesso che questa entrasse una sola volta!
L’altro giorno ho indossato una maglia azzurra e ho fatto un lungo viaggio in aereo e oggi pomeriggio dei ragazzi si sono piazzati davanti a me, e uno ad uno mi hanno tirato il pallone che ho fermato con poca fatica.
Ci sono rimasti male quei ragazzi con la maglia gialla e verde! Un po’ mi è dispiaciuto, ma il signore con la tuta e senza capelli mi aveva detto che dovevo impedire che la palla entrasse nella rete dietro di me.
Poi, quelli con la maglia azzurra mi hanno sollevato e lanciato in aria molte volte, mi hanno abbracciato. C’era molta confusione.
Papà mi segue nei miei viaggi e aspetta seduto lontano assieme a tantissima gente. Lui sostiene che ogni volta che mi piazzo davanti a quella rete, guadagno tanti soldi da non poterli contare.
Aveva ragione papà: sono riuscito a diventare qualcuno, anzi il numero uno!