Il vento di marzo spettina i tetti e i capelli di passanti frettolosi, sollevando vecchie foglie e una pagina di giornale invitandoli a un girotondo. Il cielo allunga impercettibile il sorriso di un sole ancora lontano, un passaggio di uccelli segna il ritorno della primavera che manda timidi segnali, sparpagliando sulle braccia secche degli alberi, nuovi germogli.
Maria, altezza media come i suoi sogni, si ferma davanti a una vetrina di abiti da sposa accendendosi l’ennesima sigaretta, inspirando e rilasciando anelli di fumo che in un attimo vengono portati chissà dove.
Osserva pizzi, perline e merletti, estrae qualcosa dalla borsetta, poi fissa il cellulare per qualche attimo, lo ripone e riprende il cammino, su una strada grigia e sconnessa di quell’angolo di periferia. Occhi neri come una notte senza stelle, gonna corta, seni grandi, una manciata di anni a incorniciare un’immatura bellezza, un rossetto nemmeno troppo acceso, sono quello che si porta a spasso per attirare l’attenzione e fare il suo lavoro.
Cammina lenta senza mai voltarsi per la strada che porta fuori dal paese, fino a quando questa non viene mangiata dalla campagna. Dove comincia lo sterrato e la strada si incurva perdendosi nell’oscurità c’è una vecchia panca in pietra.
Maria si siede li, come quasi tutte le sere. Con una pila in mano, un po’ per segnalare la sua presenza, un po’ per illuminare le pagine dell’ultimo libro che sta leggendo. Qualcuno la chiama “la puttana istruita” ma lei non ci fa caso.
Scorre le righe del libro con avidità e si mostra quasi seccata quando un cliente spunta e si accosta per contrattare il prezzo, costringendola a riporre il libro, interrompendo il suo sogno.
Perché Maria quando legge sogna. Passandosi la lingua sulle labbra screpolate, ingigantendo gli occhi per meraviglia o per stupore, sciupando il trucco fatto di fresco quando si commuove sciogliendosi in una lacrima. Le parole la seguono, anche quando sale sull’auto per andare non importa dove, basta che si faccia presto, per poi tornare li, a trovare rifugio tra le pagine, che a volte per scappare basta il verso di una poesia. “Ti sei presentato una sera ubriaco sollevando l’audace gesto di chi vuole fare cadere una donna nel proprio tranello oscuro e io non ti ho creduto profittatore infingardo”
Ma questo la gente non lo sa, mentre infila la mano sotto la gonna a cercare con ansimante impazienza lo sfogo di un diritto comprato a pochi soldi. Maria fissa il buio, mentre le stringono i seni e sconosciute labbra lasciano lividi che si assorbiranno in un tempo indefinito, coperte da una nuova mano di trucco. Geme, ma mai di piacere. Non sono poi molti quelli che andando al mercato comprendono la differenza tra una donna e una cosa. “Sulla mia buona fede avresti lasciato cadere il tuo inguine sporco; per tanta tua malizia hai commesso un reato morto”
Quando scende dall’auto, saluta appena, cancella il volto di chi c’era, pronta a sovrapporlo. Mette i soldi in borsetta e si sistema i vestiti, prende una bottiglia d’acqua, beve, sputa, poi beve e sputa ancora. Annusa la notte, come fanno i cani, quasi volesse fiutare la presenza di altri predatori, che aspettano nell’ombra.
Il vento soffia, quasi non sapesse fare altro.
Maria attraversa il giorno in punta di piedi. Si sveglia dopo la mezza, scende per strada, compra un panino che addenta a piccoli morsi, sorseggiando una birra che non finisce quasi mai. Chiede il conto e lascia i soldi, resto compreso sul tavolino del bar. Quando esce è rincorsa sempre da un frettoloso “buongiorno” ma lei non si cura di chi sia il padrone di quella voce.
Osserva i passanti che abbassano lo sguardo quando incrociano i suoi occhi curiosi. Chissà se qualcuno è stato tra i suoi clienti, se la stanno osservando come un pezzo da comperare, se quelle mani e quei volti conoscono già il suo corpo.
Io so che Maria prova ad indovinarne i pensieri. Io la osservo, lo faccio da mesi.
La prima volta che l’incontrai fui folgorato, non tanto dalla sua bellezza, ma dalla somiglianza con mia figlia, persa in un giorno mai troppo lontano per mano di un amore malato e vigliacco. Anche lei si era in un certo senso venduta per una manciata di parole costruite a tavolino, aveva creduto alle promesse fatte e quando ha scoperto il vuoto non le è stato permesso di tornare indietro.
Le avevo fatto visita, anche se non voleva, in uno dei suoi ultimi giorni di vita. Aveva un volto penoso e tumefatto, occhi lividi, gonfi di botte e di lacrime. E un’anima spenta, venduta e resa. Ricordo di aver perso più di una notte a pensarla violata, costretta e umiliata in un angolo buio di un’anonima stanza. Non mi perdono di non aver urlato abbastanza, di non essere riuscito a riprenderla e portarmela via. Mi sono sentito un vigliacco dentro il vestito della paura. E quando tutto si è compiuto, l’ho vista: inerme e bambina, con gli occhi socchiusi, privi di luce e di sogni. Ho sentito il cuore strapparsi e andarsene via. Ma io sono vivo e questa è la mia condanna.
Quando ho incrociato Maria, ho pensato che il destino mi stesse offrendo una possibilità, una sorta di riscatto. Un motivo per vivere e sentirmi di nuovo utile, sentirmi uomo. Non sono riuscito a salvare mia figlia, ma forse potevo fare qualcosa per Maria, che sembra sua sorella tanto le assomiglia.
Non è stato difficile incontrarla e parlare con lei. Le ho offerto una via di fuga e non ci ha pensato su nemmeno un attimo. Stanotte salirà su un’auto che la condurrà non in un albergo a ore e nemmeno ai bordi di un prato, ma verso la libertà. Spezzerà quelle invisibili catene che la tengono legata a una panchina di pietra e tornerà libera di gioire, sbagliare, piangere, ma da donna libera.
Ieri sera ci siamo incontrati per l’ultima volta. Ho fatto finta di essere un cliente e l’ho caricata in macchina. Le ho portato un libro di poesie e un mazzo di fiori. Mi ha detto che non ricordava nemmeno l’ultima volta che un uomo le ha regalato dei fiori.
Mi ha detto che quasi tutte le sue compagne di sventura aspettano un uomo che le tratti da donna e offra dei fiori e non solo soldi spiegazzati. Siamo rimasti abbracciati per tutto il tempo che ci è stato concesso e abbiamo pianto.
Abbiamo pianto tantissimo.
Maria ora è lontana e libera, forse un giorno la rivedrò ma adesso non è prudente che ci sia il minimo contatto tra di noi. La gente che l’aveva presa non scherza, ma di lei si scorderanno in fretta e allora potremo rivederci.
Sulla panca di pietra, su quella strada sterrata, ora c’è un’altra ragazza. Esile, bionda, molto diversa nell’aspetto da Maria, ma simile nello sguardo e, sono sicuro, nel cuore.
Non posso salvare tutte le sventurate che sono finite contro la loro volontà sulla strada. Lo so. Ma c’è una cosa che posso fare per loro.
Ogni mese di marzo spendo tutta la mia pensione in fiori.
Mi carico tutto in macchina e mi fermo ad ogni ragazza che incontro ai bordi della strada, sorrido e prima che possano dire qualsiasi cosa, lascio nelle loro mani un mazzo di mimose.
*I versi presenti nel testo sono della poesia “L’ospite” tratta dal libro “Fiore di Poesia” di Alda Merini
Mimose
di Stefano Borghi (Milano)